Light Bulb Dance|チコーニャ・クリスチアン
コンテンポラリーダンス・パフォーマンス作品 『TOUCH ~ふれる~ 』を観ながらの想像の旅
2023年2月23日 KOBE Re:Public Art Project 特設会場(神戸市中央区新港町7)
2023/2/23 Spazio riservato a KOBE Re:Public Art Project (zona porto di Kobe)
Text, photos, illustrations by Cristian Cicogna
>>>Italian
振付・演出・出演:三東瑠璃、大植真太郎、nouseskou
音楽:内田輝
アンサンブルダンサー:金愛珠、秋田乃梨子、川崎萌々子、楠田東輝、小松菜々子
衣装:YANTOR
舞台監督:大田和司
照明:三浦あさ子
音響:西川文章
制作協力:NPO法人DANCE BOX
海の見えない神戸港の一隅。
海はすぐそこにあるのに、音も匂いすらしない。
運送トラックが轟音(ごうおん)と共に澄んだ空に排気ガスを漏らして走って行く。
道を挟んで住友倉庫の正面の前で棒立ちになる。大勢の人の目に見られている。わざとらしく数箇所剝(は)がれているポスターの目だけれども。
どんな過去を閉じ込めている倉庫なのだろうか。
中に入ると、薄暗い通路には破れた土嚢(どのう)、積み重ねた木材、地面に置かれた眩しい照明。黴(かび)の匂い。奥では紙の帆が風を孕(はら)み想像力をいっぱい積んだ帆船が出港しそうだ。
倉庫の中枢だろうか。煙る光が高い窓から差し込み、がらんとした建物に冬の午後を押し込める。あまりにも無色で、鮮やかな色で染めたくなる光だ。
目を閉じてみると、かつてこの空間に溢れていた活気の様子が瞼(まぶた)に浮かぶ。
今は錆(さび)に食われて不動の機械が軋(きし)む音が冷たい空気に張り付き、微音(びおん)の跡を辿(たど)れば、空洞へと導かれる。
聞こえるのは埋め立て地の囁(ささや)きか。
滑り台に似たインスタレーションから色の付いた土が非常にゆっくりと流れて行く。山から削られた地質的に古い土が湾に運ばれ、若い土と混じり合った時に時間(とき)の流れが変色してしまうような気がする。
ここは倉庫の胃袋だろう。闇に目が慣れるまで少し時間がかかった。
はっきりした制限のない、曖昧な枠の中で三人の影が動いている。時折、スタッフの二人がキャスターの付いた白い試着室のような物体を移動させ、舞台に変化を加える。
風の流動をテーマに6時間にわたって、踊り続けるという。
風は照明に光らせたカーテンだろうか。
三人のダンサーは風に身を任せながら、空を彷徨(さまよ)う雲やなびく草花や大洋を駆けるイルカに見える。
音楽はその場で生まれる。木製の鍵盤に琴の弦(つる)を合わせた、見たこともないハイブリッドの楽器が耳をそそる様々な音を生み出す。
光を織り成す風は魅力に溢れる音を立てて、太い柱の間で踊る。流動するダンサーたちに真っ白な光を降りそそぎ、身体の輪郭を強調し、表情を包み隠す。
突然、男が諸肌(もろはだ)を脱ぎ、明るい世界を求める囚人のように、開かれた扉から逃げようとする。一瞬逆光の輪に立ち尽くすが、ギリシャ神話の結末の如く、即座に止められ、灯りの乏しい元の世界へ無理矢理に引き摺(ず)られてしまう。
日が暮れてくる。
二つの裸電球が悲鳴をあげながら闇に泳ぎ出す。
運動の狂った振り子で、海の静寂に浮かぶ無為な漁火(いさりび)にも見える。
倉庫の入り口を塞ぐ四角い空は誤った記憶のように日暮れの支配下にあった。
数時間の夢から目を覚まし、日常の世界に戻ると、酷い既視感に包まれる。
温もりを求めて新築のモールに入った途端、目を射る照明が気のない顔を照らし、天井は本物の魚が狂奔(きょうほん)する巨大な水槽だった。
「闇に泳ぐ裸電球」
(2023/3/15)
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Viaggio nella fantasia assistendo allo spettacolo di danza contemporanea
TOUCH – fureru nell’ambito dell’evento KOBE Re:Public Art Project
Coreografia, regia, danza: Ruri Mito, Shintaro Oue, nouseskou
Musica: Akira Uchida
Interpreti: Eju Kim, Noriko Akita, Momoko Kawasaki, Haruki Kusuda,Nanako Komatsu
Costumi: YANTOR
Direttore di scena: Kazushi Ota
Luci: Asako Miura
Suono: Fumiaki Nishikawa
Collaborazione alla produzione: NPO DANCE BOX
Al porto di Kobe, ma non sul mare affacciato
Di recente teatro di mostre, artistici eventi
Un vecchio e glorioso magazzino abbandonato
Con la facciata graffiata di volti seri o sorridenti
E un passato che geloso in sé tiene prigioniero
Gonfiate le vele di carta al soffio muto dei venti
Sembra salpare carico di fantasia il giallo veliero
Cataste di legno, sparute luci ma aggressive
Un vasto spazio che odora di muffa e del mistero
Di chi al proprio declino ostinato sopravvive
Lo si rivede lì, attivo, di persone brulicante
Con le sue merci a riempire dei cargo le stive
O di instancabili macchinari l’aria rombante
E ora rimane qualche ideogramma sui muri
Il freddo, un rullo immobile, un inutile pulsante
Pavimenti screpolati, inquietanti angoli oscuri
La storia di questo luogo dalla ruggine corrosa
Cigolii, un richiamo lontano, come di tamburi
Dai finestroni piove una sbiadita luce fumosa
Scolorita da questo tardo pomeriggio invernale
Che allora io dipingo di azzurro, giallo e rosa
Flebili rumori, una musica che sa di ancestrale
Saranno mica i lamenti, gli indecifrabili bisbigli
Di questo, su cui il porto posa, terreno artificiale?
Per quanto la terra strappata al monte assomigli
A quella della baia che piano piano va a colmare
Lo scorrere del tempo, con cupi lampi vermigli
Perde fluidità, borbotta, finisce con l’inceppare
Fredda e cupa sotto le ampie volte la caverna
O forse mi sbaglio e siamo nel fondo del mare
Tre corpi fluttuano, strisciano a velocità alterna
In uno spazio costretto ma dai labili confini
Piatte luci di fari e tremuli riverberi da lanterna
Travolti da dorate folate di vento i ballerini
Si perdono, si ritrovano, vaganti anime alate
A volte simili a fragili nubi, altre ad agili delfini
Il vento danza lieve tra le colonne colorate
La musica germoglia note dai presagi funesti
Anticipando l’ingresso di dèmoni o nere fate
Un corpo, lento si denuda delle grigie vesti
Una porta si spalanca sul fulgido mondo della luce
Ma come nel finale dei miti greci o nei sacri testi
Una forza oscura nel buio degli inferi lo riconduce
Il corpo torna quieto, rigido, rassegnato, obbediente
L’occhio alla notte s’accostuma, la ferita si ricuce
Due nude lampadine penzolano incerte nel niente
Contro l’incombere della sera due fuochi arancio
Vane richieste d’aiuto nel mezzo dell’oceano furente
Entusiasmi che si smorzano, perdono l’iniziale slancio
Ingannevoli pagine di quel diario chiamato memoria
Fuori il crepuscolo è appeso al cielo con un gancio
Luna, Giove, Venere allineati sulla stessa traiettoria
Il risveglio dal sogno assomiglia a un trito déjà-vu
I passi mi portano al caldo della successiva storia
In un mondo al contrario, dove tutto è a testa in giù
Mi perdo in un locale, luci violente su facce spente
Sul soffitto nuotano, fiacchi ma veri, dei pesciolini blu
(2023/3/15)