Menu

ケムリ研究室 no.2 砂の女 – 演劇と映画が交わる砂丘|チコーニャ・クリスチアン

砂の女 – 演劇と映画が交わる砂丘
La donna delle dune di sabbia

2021年9月9日 兵庫県立芸術文化センター
2021/9/9 Hyogo Performing Arts Center
Text by Cristian Cicogna

<演者>        →Italian language
原作:安部公房
上演台本・演出:ケラリーノ・サンドロヴィッチ
音楽・演奏:上野洋子
振付:小野寺修二
出演・配役:
緒川たまき
仲村トオル
オクイシュージ
武谷公雄
吉増裕士
廣川三憲
町田マリー

<スタッフ>
美術:加藤ちか
照明:関口裕二
音響:水越佳一
映像:上田大樹 大鹿奈穂
衣裳:伊藤佐智子
ヘアメイク:宮内宏明
演出助手:山田美紀
舞台監督:福澤諭志

 

舞台上に砂は一粒もない。私の予想が外れた。それでも、砂は舞台を支配している。
開演の直前に暗い舞台をうかがうと、何枚ものシーツが丘陵を作り出し、舞台中央の大きな物体を覆っている。左上に設置された音響ブースには淡い明かりが点され、音響担当の上野洋子の姿が見える。音響ブースの位置と言い、たった一人でいる彼女の様子と言い、櫓(やぐら)の上で見張り役を務める兵士のようだ。
筋は1962年に出版された安部公房の同名の作品に沿っている。「8月のある日、男が一人、行方不明になった。」が原作の冒頭だ。
しかし、安部公房の原作よりも勅使河原宏監督によって映画化された「砂の女」の方が、中でも岸田今日子が演じた女の方が印象に残っている人が多いかもしれない。
昭和30年8月、30代前半の男が昆虫採集に辺鄙(へんぴ)な漁村にやって来る。波の音が聞こえるのに、砂丘の間で絶え間なく変化する道に迷い込んで、海岸にたどり着けない。そこで漁師らしい老人に、村落にある一軒の民家に泊まるように勧められる。
砂丘に吹く風が男の視野を塞ぎ、茶色いシーツを一枚飛ばしてしまう。舞台中央に現れたのは木造の素朴な小屋だった。大きな簾(すだれ)が小屋の中を二つに分けている。
勧められた家に入ってみると、男には驚くことばかりだった。電気も風呂用の水もない代わりに、どこもかしこも砂だらけだ。その家に一人で住んでいる寡婦は砂掻きに追われている。部落の家はどれも砂丘に掘られた深い穴の底にあり、砂掻きをしないと、家が丸ごと埋もれてしまう。シャベルで掬った砂をバケツに入れ、地上から村人がバケツを引き上げるという大がかりな作業が必要だ。縄梯子を利用して地上と行き来できるようになっている。異様な状況に置かれた男は、一生懸命砂掻きをしている女を仕方なく手伝う。
一夜明け、男は罠に嵌められたことに気づく。縄梯子が村人によって取り外され、蟻地獄の巣に似た家に閉じ込められて動転するが、砂を掻く仕事をさぼると水や食料が配給されない。逃げようと試みると、砂に埋もれ死にそうになるだけだ。結果、女との奇妙な同居を強いられる。

原作と同様、舞台もサスペンスに満ちている。男の視点が主軸になっているが、次第に女の存在感が増していく。
男の精神状態は分かりやすい。都会からやって来た初めての土地で地元の人間に騙された上に、逃げる術がなく、生き延びるために常に砂掻きしなければならぬ羽目になった。奇妙な女と二人きりにもなった。この緊迫した状況を仲村トオルが安定感のある演技で上手く表現している。
女の心理を推測する方が面白い。貧しく質素な小屋でその日その日を何とか生き抜いている。諦めの気持ちを抱きながらも、そんな暮らしにある種の楽しさも感じているのではないか。その証拠に村人が持っているラジオの声が聞こえる度にわくわくして、好きな曲がかかると、歌ったり、踊ったりする。
女役として、男のみならず観客まで色香に迷わせる緒川たまきが完璧と言ってもよい演技を披露し、いかにも昭和らしい女性の佇(たたず)まいを見せている。
東京に何でもある生活に慣れている男には、女が語る質素を楽しむ気持ちは理解できない。しかし、時間が経つにつれて、異なる経緯で過酷な状況に置かれた二人はやがて夫婦生活を送るようになる。喧嘩をすれば、体を拭きましょうかと、仲直りの合言葉のように女が甘い声で言う。
回り舞台を巧みに利用して、小屋の二つの部屋と裏庭が交互に舞台前に現れるので、芝居はダイナミックさを失わない。
しかし、何と言っても、この芝居の主人公は砂だ。舞台にあるのは砂に埋もれてしまいそうな貧しい一軒の小屋だ。が、その不穏な小屋が見せているのは、もっと広く、もっと深く、そしてもっと恐ろしい世界だ。砂が作り上げる世界。砂は無機的でありながら生き物のようにずっと絶えず動いている。吹く風の気まぐれに砂丘は形を変え、流動する。同じ場所なのに、景色は変わる。

ところで、ある場面 (砂の重さでつぶれそうな屋根から降ってくる本物の砂) を除いて、実際には砂がないのに、飛砂、喉の渇き、逃げようとした男が落ちる蟻地獄の恐ろしさをどうやって観客に感じさせるのか。どうやって服の中が砂でじゃりじゃりするような感覚にさせるのか。砂丘に動く人影や小屋を回転させる人物が砂に擬態したトカゲや男が探していた昆虫に見える。何故か?
それは照明の巧妙な使い方と上野洋子のパフォーマンスのおかげだ。
砂丘の形に設えたシーツに当てたライトとプロジェクションマッピングによって、立体感溢れる砂の斜面や砂の雪崩が浮かび上がっている。時折簾がスクリーンとして使われ、男の妻の影が現れたり、原作の小説の一節が映されたりする。
その上、上野が演奏する環境音楽に歌声、そして唸り声、滑車の軋む音、風の音、スコップで砂を掻く時のざらざら鳴る音が生々しく、寒気立つような印象を与え、3時間近い芝居なのに、スリル満点で最後まで場の緊張感を保(たも)つことに成功している。

ケラリーノ・サンドロヴィッチ曰く、実験的な舞台で、様々な要素を試みる演出らしい。
黒子が男の人形を動かしている場面は文楽を思わせる。
妻が出す行方不明者の届け出を頼りない二人の巡査が受け取るシーンはコントになっていて、緊張した雰囲気を和らげる役割を果たしているが、決して芝居のリズムを狂わさない。別役実が愛した電信柱は舞台の袖の外にあるように見せつつも、存在感は十分ある。
息を吞むようなエロチシズムたっぷりのシーンもある。
統一感に少し欠ける部分があったかもしれないが、私はサンドロヴィッチが映画に近い舞台を作ろうとしたという印象を受けた。
オーバーヘッドプロジェクターを利用してスクリーンとなった簾に映る女が指で砂に描いた模様や緒川たまきのクローズアップは映画のワンカットに見えた。

冬が過ぎ、春になると、女が妊娠したことが分かる。2か月後のある日、女は激痛を訴え、病院に運ばれていく。脱出のチャンスなのに、男は女の帰りを静かに待つ。遠くをじっと見るような仲村トオルの表情はまさに映画のラストシーンのようだ。
背後の簾に「7年後に妻の申し立てにより、行方不明の夫・仁木順平は失踪者として、死亡が認定された」という一文が映る。
芝居が終わってから、しばらく思いを巡らせた。
女が運ばれて行かれた後、縄梯子がかかったままなのに、男は逃げようとしなかった。なぜだろうか。どうして妻のところへ戻らなかったのだろうか。東京での便利な生活を捨てて、蟻地獄にいるような、砂に囲まれた、じわじわ砂に侵食されるような暮らしを選んだ理由は何か。
妻が夢に出てきたと、女に話す場面がある。妻は無言で表情がなく、砂でできた人形のように風に吹き飛ばされて姿を消してしまった。
もしかすると、題名の砂の女は二人だと解釈できるかもしれない。小屋にいる女と砂になって消える妻。そして、物語を支配している砂がどうしても愛の隠喩に思えて仕方がない。絶え間なく砂丘を違う姿に変える砂のように、本質はそのままに、人生の風に吹かれて変わり続ける愛。

 (2021/10/15)

—————————————
Suna no onna – La donna delle dune di sabbia

Cast
Testo: Kobo Abe
Scenario e regia:Keralino Sandorovich
Musica e esecuzione:Yoko Ueno
Coreografia: Shuji Onodera
Interpreti:
Tamaki Ogawa
Tooru Nakamura
Shuji Okui
Kimio Taketani
Yuji Yoshimasu
Mitsunori Hirokawa
Marie Machida

Staff
Scenografia:Chika Kato
Luci:Yuji Sekiguchi
Suono:Yoshikazu Mizukoshi
Immagini video: Taiki Ueda, Nao Oshika
Costumi:Sachiko Ito
Hairmake:Hiroaki Miyauchi
Aiuto regista: Miki Yamada
Direttore di scena:Satoshi Fukuzawa

 

Contrariamente alle mie aspettative, sul palcoscenico non c’è un granello di sabbia. Eppure la sabbia domina la scena.
Sbircio il palco ancora avvolto nel buio: enormi lenzuola scure disegnano delle colline e, al centro, tengono coperta una grande struttura a parallelepipedo. Sulla sinistra, piuttosto elevata, la postazione del suono. Illuminata da una tenue luce biancastra, la musicista e cantante Ueno Yōko appare come una sentinella appostata su una torretta di guardia.
La trama segue piuttosto fedelmente l’omonimo romanzo del 1962 del noto scrittore, drammaturgo, regista teatrale, poeta Abe Kōbō (1924-1993). Tuttavia in Giappone molti ricorderanno più facilmente la trasposizione cinematografica del 1964 del regista Teshigahara Hiroshi, con la celebre attrice Kishida Kyōko nel ruolo della protagonista.

Agosto 1955. Un uomo sulla trentina, insegnante di scuola elementare con l’hobby dell’entomologia, giunge in uno sperduto villaggio affacciato sul Mar del Giappone, in cerca di una rara specie di scarabeo. Pur udendo il suono delle onde, si perde per le stradine disegnate tra le dune di sabbia e non riesce a raggiungere la spiaggia. I pochi abitanti del posto che incrocia non sembrano molto disponibili ad aiutarlo nelle sue ricerche. Si fa tardi e l’uomo si vede costretto a cercare un riparo per la notte. Un anziano pescatore gli consiglia una piccola pensione.
Un forte vento improvviso avvolge l’uomo in un mulinello di sabbia e fa volare via il telo marrone che copriva l’oggetto al centro del palco, rivelando una misera capanna di legno, due semplici stanze separate da un sudare (pr. sudarè; divisorio avvolgibile a mo’ di tendina, realizzato con listelle orizzontali di bambù).
Appena entrato nel luogo indicato, cominciano le sorprese. La casa non ha né corrente elettrica né acqua corrente, ma ciò che stupisce di più l’uomo è che dappertutto sia pieno di sabbia. La vedova che ci vive da sola è costretta a tenere un parasole aperto sopra il tavolino basso dove serve la cena all’ospite per evitare che la sabbia che filtra dal tetto finisca nel cibo, dopo di che si affretta nel cortile sul retro a spalare sabbia con un badile.
Tutte le case del villaggio sono costruite all’interno di profonde buche scavate tra le dune. È necessario togliere la sabbia in eccesso per evitare crolli o smottamenti ed essere sepolti vivi. La sabbia viene raccolta in secchi che vengono issati in superficie a braccio tramite un sistema di carrucole. Una poco stabile scaletta di corda è l’unica via di fuga da quelle che sembrano proprio tane di animali notturni.
L’uomo appare scocciato dalla situazione, e controvoglia si mette a dare una mano alla donna, che di gran lena riempie i secchi con dimestichezza.
Al risveglio l’uomo realizza di essere caduto in una trappola. La scaletta è stata tolta dagli abitanti del villaggio, complici dell’inganno. Tenta di ribellarsi, minaccia di denunciarli, prova a fuggire scalando a mani nude la parete di sabbia, con il risultato di rischiare di morire soffocato. Se non collabora al lavoro di spalatura, la casa non verrà rifornita di acqua e viveri. Comincia così, suo malgrado, una strana convivenza con la donna.

Al pari del romanzo, l’atmosfera è intrisa di suspense. La vicenda segue principalmente il punto di vista dell’uomo, ma il ruolo della donna prende via via forza.
È facile immedesimarsi con il protagonista. Arrivato da Tokyo in un posto lontano e sconosciuto, imbrogliato e costretto, se vuole sopravvivere, a una sorta di lavori forzati, non può scappare o chiedere aiuto. Si ritrova a vivere con una donna vagamente sinistra, che potrebbe rivelarsi da un momento all’altro una volpe ingannatrice delle fiabe giapponesi. La tensione e l’ansia che lo attanagliano sono ben espresse da Nakamura Tooru, attore di grande esperienza e capacità espressive.
Indagare la psicologia della donna risulta ben più interessante. Anche lei per certi versi è prigioniera nella capanna. Se pur con rassegnazione, sembra trovare nel sussegguirsi di giorni tutti uguali, scanditi dall’operazione di spalare la sabbia per garantire la propria sopravvivenza, addirittura un senso, se non di gioia, almeno di spensieratezza. A riprova di ciò, si agita come una bambina quando sente il suono della radio portatile dell’addetto alla rifornitura dei viveri. E se c’è una canzone che le piace, si mette a cantare o a ballare. L’attrice che la interpreta, Ogawa Tamaki, riesce, con una prova ai limiti della perfezione e una forte carica sensuale che ammalia non solo l’uomo imprigionato, ma anche il pubblico in platea, a dare spessore e umanità a questa donna semplice, eppure intensa e forte.
Per l’uomo, abituato alle comodità della vita nella metropoli, l’allegria della donna è incomprensibile. Tuttavia, con il passare delle settimane e dei mesi, i due, che si ritrovano in quell’angusto e soffocante buco per motivi completamente diversi, iniziano a comportarsi come se fossero marito e moglie. E dopo ogni lite, quasi fosse la parola d’ordine della rappacificazione, la voce dolce di lei lo invita a farsi togliere la sabbia dal corpo con una spugna.
Essendo la struttura su cui è montata la capanna girevole, le due stanze e il cortile diventano ripetutamente lo spazio scenico, offrendo costante dinamicità all’azione. Ad ogni modo, la vera protagonista è senza ombra di dubbio la sabbia. Al centro della scena c’è una sinistra baracca scavata in mezzo alle dune, ma quello che mostra è un mondo molto più ampio, più profondo, e soprattutto più spaventoso: un mondo creato, più che sulla sabbia, dalla sabbia stessa. Entità asettica, inanimata, inodore, tuttavia fluida, in continuo movimento e capace di trasportare odori, luci, colori. Le dune cambiano costantemente forma ai capricci del vento. Pur essendo sempre lo stesso luogo, il paesaggio non rimane mai uguale.
Se si esclude un’unica scena (in cui dal tetto che rischia di cedere sotto il peso della sabbia, perché l’uomo si rifiuta di spalarla, effettivamente cade qualche manciata di vera sabbia dalle travi sconnesse e dal tetto di zinco malandato) durante lo spettacolo non viene utilizzata sabbia.
E allora com’è che il pubblico percepisce – e lo si percepisce chiaramente – il vento sabbioso che fa chiudere gli occhi, la sete che attanaglia la gola riarsa, la sabbia che sfrega nei vestiti, lo sgomento dell’uomo che è finito nelle sabbie mobili durante uno dei suoi tentativi di fuga? Le nere figure che si aggirano fra le dune, facendo ruotare il palco o animando il pupazzo che ha le sembianze dell’uomo, appaiono ai miei occhi come piccoli rettili mimetizzati o come gli scarabei che lui sta cercando. Come può essere?
Il merito va tutto all’abilissimo utilizzo delle luci e alla strabiliante performance musicale e sonora di Ueno. Grazie agli effetti di luce sui grandi teli che disegnano le dune e al projection mapping (proiezioni di immagini tridimensionali), pendii, smottamenti, sabbie mobili prendono forma e spessore, i granelli acquisiscono concretezza e movimento. Il sudare diventa un pannello per ombre cinesi, su cui appare la silhouette della moglie dell’uomo, sempre più lontana e labile nel ricordo, oppure uno schermo dove vengono proiettate frasi del romanzo originale. A ciò vanno ad aggiungersi la vagamente inquietante musica ambient e i vari suoni, le urla, il canto dell’artista, a materializzare il sibilo del vento, il graffiare delle pale, lo scricchiolio della casa pericolante o i cigolii della carrucola, il tutto con un’efficacia da brividi sulla schiena. Le quasi tre ore dello spettacolo volano, mantenendo costantemente alta la tensione.

Come affermato dallo stesso regista Keralino Sandorovich (pseudonimo di Kobayashi Kazumi, n. 1963), lo spettacolo ha una spiccata componente sperimentale. Si notano ‘prestiti’ da generi eterogenei. Il pupazzo e le figure che lo muovono richiamano ovviamente il bunraku, il tradizionale teatro dei burattini. Anche gli sketch dei due poliziotti imbranati e un po’ tonti che ricevono la denuncia della moglie per la scomparsa dell’uomo fanno parte del bagaglio comico e surrealista del teatro d’avanguardia degli anni ’60 e ’70, nella figura di spicco di Betsuyaku Minoru: intervalli di sottile ilarità che non intralciano il ritmo della narrazione. Non mancano nemmeno scene di sensuale erotismo.
Pur rischiando a tratti di mancare di uniformità, l’impressione più forte ricevuta è che il regista volesse mettere in scena uno spettacolo il più vicino possibile a un film. Il volto di Ogawa Tamaki proiettato sul sudare mentre gioca con la sabbia sul vetro di un proiettore per lucidi è niente meno che un primo piano cinematografico.

Passato l’inverno, in primavera la donna scopre di essere incinta. Dopo un paio di mesi, una notte si sente male e viene trasportata d’urgenza all’ospedale, faticosamante issata con le carrucole come i secchi di sabbia che è solita riempire. Per l’uomo, rimasto solo, sarebbe l’occasione ideale per fuggire, eppure non lo fa, e rimane, in un latente stato d’ansia, in attesa del ritorno della donna, o almeno di notizie sulle sue condizioni. Lo sguardo smarrito, a fissare il nulla, di Nakamura Tooru sembra proprio la scena finale di un film. Sul sudare alle sue spalle appaiono poche righe del romanzo di Abe Kōbō: a sette anni dalla denuncia da parte della moglie, il tribunale dichiara lo scomparso Niki Junpei deceduto.
Dopo lo spettacolo, numerose domande mi affollano la mente. Perché non è fuggito? Nel trambusto dell’emergenza, la scaletta di corda non è stata ritirata. Eppure non la utilizza. Perché aspetta il ritorno della donna? Perché non torna a Tokyo? Considera quelle la sua casa, la sua nuova famiglia? Cosa lo spinge a rimanere nel fondo di una tana simile a delle sabbie mobili?
In una scena l’uomo confida alla donna di aver sognato la moglie. Era muta, dice, senza espressione. Al primo soffio di vento, la sua figura si era sfaldata come se fosse una statua di sabbia.
Suna no onna, letteralmente la donna di sabbia. Ma allora il titolo può essere interpretato anche al plurale, le donne di sabbia: la donna che vive quasi sepolta sotto le dune, e la moglie, fantoccio senza anima, spazzato via dal vento, e dal cuore dell’uomo.
A questo punto mi viene da pensare che la storia non sia altro che una grande metafora dell’amore. Come la sabbia, che cambia forma alle dune e al paesaggio, pur rimanendo sempre sé stessa, così l’amore, sotto i colpi del vento della vita, continua a mutare, mantenendo però intatta la sua essenza.