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Mostra cinetica di Makoto Nomura – Disegnare con la musica | Cristian Cicogna

Mostra cinetica di Makoto Nomura – Disegnare con la musica
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2021/5/18 Nagara no Za Za
Text & Photos by Cristian Cicogna

A dieci minuti di treno da Kyoto, Ōtsu è, utilizzando una formula di rito, una ‘ridente cittadina’ sulle rive del lago Biwa, il più esteso del Giappone. Non so se per colpa dell’ora, poco dopo mezzogiorno, o dello stato d’emergenza dichiarato in seguito alla quarta ondata della pandemia (che sta mettendo in forse le Olimpiadi), fatto sta che in giro non si vede quasi nessuno. Di turisti nemmeno l’ombra. Molte le saracinesche abbassate. Il tempo non aiuta. Un manto di nuvole plumbee sovrasta la città, stingendo i colori. Il lago giace come un ammasso grigio, immobile, che si confonde con il cielo. La pioggia, imminente.

Mangio qualcosa in uno dei pochi ristoranti aperti nei pressi della stazione e mi avvio, per stradine deserte e passaggi a livello che sembrano usciti da un manga, verso il Monte Nagara, che con il verde intenso dei suoi aceri, cedri e canfori dona al panorama l’unica brillante nota di colore. Cammino per un po’ nel boschetto che cela e protegge il Miidera, tempio del buddhismo Tendai che, con i suoi oltre 40 edifici, è il quarto complesso più grande del Paese. Il sentiero è avvolto in un’atmosfera fiabesca, un magico equilibrio tra una cupa ombra, che però brilla di un verde lucente, soffuso, il delicato profumo di fiori nascosti alla vista e un silenzio quasi mistico.

Non sono in gita di piacere, sono alla ricerca della casa della famiglia Hashimoto, un edificio risalente al periodo Edo (1603-1868), registrato come tesoro nazionale. Al suo interno, in una vasta sala a tatami ribattezzata Nagara no Za Za, si svolgono performance artistiche. Questa settimana ospita la Mostra cinetica di Makoto Nomura (su prenotazione, massimo otto persone): un evento sperimentale che cerca di illustrare il processo creativo e l’improvvisazione all’interno di un contesto rapportabile alla vita quotidiana.

Compositore, pianista, polistrumentista (con una particolare vocazione per l’armonica a tastiera), direttore di festival, divulgatore: definire l’attività di Makoto Nomura (n. 1968) non è cosa semplice, ma dai titoli delle opere e degli eventi organizzati finora (anche fuori dal Giappone) emerge il profilo di un artista eclettico e assolutamente originale.

 

Una stretta via lastricata fiancheggiata da un corso d’acqua e un torii in pietra mi guidano alla meta. Makoto Nomura mi accoglie all’ingresso a piedi scalzi e con una camicia piuttosto vistosa. Una blanda mascherina di stoffa non cela un vago sorriso di benvenuto (un anno e mezzo di pandemia mi ha allenato a riconoscere le espressioni facciali anche dietro le mascherine).

Appena il tempo di accomodarmi sulla bassa poltrona di un salottino, e Nomura mostra con mal celato orgoglio un pianoforte, o almeno quello che in origine era un pianoforte. Come spiega ai cinque ospiti presenti, ciò che lo spinge alla composizione di musica contemporanea è la ricerca di nuovi suoni, di una musica mai suonata prima, e a tale scopo necessita anche di nuovi strumenti. Questo vecchio piano, che ‘dormiva’ inutilizzato in casa Hashimoto da sessant’anni, risulta perfetto per le sue sperimentazioni: ha aggiunto leve e bulloni alle corde e messo una tavoletta di legno e un coperchio di latta davanti ai martelletti a vista (probabilmente con lo stesso piacere con cui un ragazzo modifica un vecchio motorino rendendolo unico).

Attendiamo curiosi un’esecuzione. Il seggiolino è una sedia senza gambe, per cui Nomura si ritrova la tastiera all’altezza degli occhi. Inoltre a piedi nudi tiene appoggiato alle corde un tamburello (per non tagliarsi nell’eventualità, non troppo remota, che le corde si spezzino), ritrovandosi in una posizione che in effetti rievoca un motociclista in sella a una Harley-Davidson. I suoni emessi fanno pensare a dei bambini alle prese con strumenti diversi che ognuno strimpella a modo suo, ma appena l’orecchio si abitua a quella incongrua cacofonia di note si ha l’impressione di scoprire, riaprendo un libro letto tanto tempo prima, un finale diverso da quello che era rimasto nella memoria.

Terminata la prova con un applauso, Nomura si mette a giocare con un vecchio carillon che ha perso la ruota dentata, per cui fa vibrare le lamelle con le dita, poi passa a pizzicare le corde di un koto per bambini su un seggiolino del corridoio da cui entra la luce verde del giardino, i cui ciliegi devono dare uno spettacolo notevole in primavera.

 

Passiamo in questo modo al Nagara no Za Za, una sala di circa venti tatami che dà sull’antico giardino alla giapponese, punto forte di questa abitazione con oltre trecento anni di storia, con tanto di laghetto e le carpe che affiorano a bocca spalancata quando si battono colpi secchi con le mani.

Nomura fa notare che ha disegnato una faccia disponendo ingegnosamente sui tatami vari strumenti (piatti, un bongo, una pianola giocattolo). Ha portato nella stanza il piccolo koto, e mentre spiega come il prendere in mano diversi strumenti sia di stimolo all’ispirazione, lo imbraccia come se fosse una chitarra, improvvisando un anomalo assolo. In inglese il verbo play indica sia giocare che suonare, e la sua performance conferma l’impressione avuta fin dall’inizio con il piano modificato.

Ci sediamo in cerchio intorno a lui. Con un grosso bloc-notes per gli appunti (per eventuali lampi di ispirazione) tra le gambe incrociate e la mano che meccanicamente va ad aggiustare la mascherina che continua a scivolargli dal naso, Nomura ci racconta la genesi di una sua composizione per pianoforte, intitolata Scappare di casa portando delle uova.

L’opera, di una quindicina di minuti, gli era stata commissionata da una pianista che voleva esibirsi insieme alla figlia di tre anni. Aveva pensato che quei quindici minuti potessero ben rappresentare l’arco della vita di una persona tra i cinque e gli ottant’anni. Come nella vita reale non si può tornare indietro a correggere gli errori fatti a vent’anni, si era imposto come regola di non modificare la partitura man mano che il pezzo prendeva forma. Questo lo costringeva a continui dubbi, riflessioni, ripensamenti, rinunce. Arrivato al punto corrispondente ai 32 anni, l’età che aveva in quel momento, si era trovato davanti all’ignoto del non ancora vissuto, mentre dai cinquanta in poi la composizione gli era riuscita più scorrevole. Negli ultimi minuti della composizione aveva voluto inserire tutti gli elementi a cui aveva rinunciato durante il percorso, perché rischiavano di condurlo in un vicolo cieco.

A quel punto aveva intervistato alcuni anziani di una casa di riposo, chiedendo loro di rievocare cosa volevano fare da grandi quando avevano cinque anni. Non strettamente legato alla questione, una di loro raccontò che un giorno, volendo uscire di casa, prese dal frigorifero due uova e, alla domanda della mamma su cosa volesse farne, rispose che, essendo piene di nutrimento, l’avrebbero sostenuta nell’impresa. Da quell’aneddoto nacque l’idea del titolo, come immagine di qualcuno che si appresti ad affrontare un viaggio all’estero o una nuova esperienza.

Infine, agli ultimi minuti della composizione, ha aggiunto le voci registrate della figlia della pianista (che alla fine si era rifiutata di suonare insieme alla mamma) e di un’anziana signora che, come un fiume in piena, aveva parlato dei suoi ricordi di bambina.

Terminata la spiegazione, dal suo portatile ci fa ascoltare Scappare di casa portando delle uova, mentre segue con un dito le note sui diciannove fogli dello spartito ordinatamente disposti a L sui tatami in fondo alla stanza.

 

Viene servito il caffè. Sono l’unico ospite straniero, e l’unico uomo, ma anche il più loquace. Nomura non sembra affatto disturbato dalle mie domande, anche se presumo che non sia molto frequente che gli accada. Si discute di improvvisazione, della musica di Haydn, di intelligenza artificiale e di sumō (la sua opera più recente si intitola Dosukoi! Stockhausen, in riferimento a una lezione del compositore tedesco sui giganti dello sport nazionale). La cosa che mi colpisce è l’utilizzo di parole come silhouette o disegno quando descrive il suo metodo di composizione. Per le partiture complesse, ad esempio musica per opera, piuttosto che eseguire e ascoltare le parti completate, preferisce osservare lo spartito da lontano, verificando a occhio l’equilibrio delle note, se siano troppe o troppo poche, quasi fosse un quadro da correggere con sapienti pennellate.

E a coronamento della chiacchierata, arriva l’esibisione all’armonica a tastiera. Ma non sembra soddisfatto, e con la mano libera si mette a suonare la piccola pianola rossa che costituiva la bocca della faccia disegnata sui tatami. Per un istante mi ricorda Schroeder, il personaggio di Snoopy sempre chino sul suo pianoforte giocattolo, ma ancor più Linus, con il dito in bocca e l’inseparabile coperta.

Da un po’ ha cominciato a piovere. Il canto degli uccelli e il suono della pioggia, che disegna morbidi arabeschi sulla nera superficie del laghetto, sembrano accompagnarlo in un concerto improvvisato.

Il tempo scorre lento, ma sento che ormai è arrivato il momento di togliere il disturbo.

Nel boschetto del Nagara la pioggia cade fitta sul fogliame, brillante di un verde quasi innaturale, e il rumore copre il suono della campana serale del Miidera.

(2021/6/15)