雅楽-現代舞踊との出会い|チコーニャ・クリスチャン
ロームシアター京都 開館5周年記念事業
雅楽 - 現代舞踊との出会い
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2021年1月10日 ロームシアター京都 メインホール
2021/1/10 Rohm Theatre Kyoto Main Hall
Text by Cristian Cicogna
Photos by 山地憲太/写真提供:ロームシアター京都
<演者>
伶楽舎
音輪会
Noism0
Noism0 (Noism Company Niigata)
金森穣 Jo Kanamori
井関佐和子 Sawako Iseki
山田勇気 Yuki Yamada
<演目>
第一部
開館5周年を寿ぐ雅楽演奏
芝祐靖(しばすけやす)作曲「巾雫輪説(きんかりんぜつ)」
伶楽舎
双調音取(そうじょうのねとり)/催馬楽(さいばら)「新しき年」
伶楽舎
声明(しょうみょう)「普賢讃(ふげんさん)」/舞楽「陵王(りょうおう)」
音輪会
第二部
『残影の庭 – Traces Garden』
武満徹(たけみつとおる)作曲「秋庭歌一具(しゅうていがいちぐ)」
伶楽舎
<秋庭>
<木霊A>
<木霊B>
<木霊C>
〜『雅楽 雪上の足跡』〜
Gagaku – Orme sulla neve
夜明け前に梟(ふくろう)の鳴き声。
白む空に張り付いた朱い鳥居は物語の始まりのようだ。梅の花が満開の大きな社(やしろ)は静寂の気泡に包まれている。うっすらと雪化粧がほどこされた境内と、それを囲む竹林。そこに一頭の鹿が迷い込んできて白い息を吐く。
差し込む曙光で若い楓(かえで)の輪郭が浮かび上がる。小鳥のわずかな動きで桜の老木の枝から音もなく雪が落ちる。
回廊の板が軋み、衣擦れの音をさせて演奏者が姿を現し順に雅楽の舞台の席に着く。
箏(そう)の音(ね)が辺りの静けさを破り、自然がゆっくりと目を覚ます。
私は源氏物語絵巻の世界に入りこんだような感覚に陥った。私の想像の翼は大きく飛翔し、時を超えて平安時代へタイムスリップした。
〜〜〜〜〜
伶楽舎の演奏者たちが敷舞台の席に着いている。豪華な着物を身に付けているのに、綺麗な姿勢をとっている。欧米人には絶対に無理なことだ。
爪が箏の絃(げん)を弾いて、「巾雫輪説(きんかりんぜつ)」の演奏が始まった。
箏に琵琶、笙(しょう)、篳篥(ひちりき)、龍笛(りゅうてき)、が加わる。鞨鼓(かっこ)、太鼓と鉦鼓(しょうこ)が特に、自然の声を想像させる。竹を叩く乾いた音。葉先から滴る雫の音。小川のせせらぎ。山奥に跳ね返る木霊。遠くささめく雷(いかづち) 。音楽が自然に溶け込んでいく。そして、聴く者の身に染み入っていく。
次に演奏された催馬楽の「新しき年」は平穏な新春を寿ぐ一曲で、笙と琵琶に歌も加わる。鳳凰が羽を休めている姿にも見える笙は演奏者の手元にある火鉢で温められた後、低く長い音を出して、空気を震わせる。
篳篥、龍笛、琵琶と琴の伴奏が付き、句頭(独唱者)は笏拍子(しゃくびょうし)を打ちながら、それぞれの楽器が作った空気の空洞に声を通すかのように歌う。
声明(しょうみょう)の「普賢讃(ふげんさん)」は日本文化の特徴である神仏混交の現れの一つだ。声明は仏教の経典を朗唱する声楽を指す。
冥界から届くような低い声で歌われる言葉が私は全く解らないので、少し怖い感じがする。中世ヨーロッパの教会で歌われた讃美歌もラテン語を知らない信者たちに複雑な思いをさせたに違いない。
仏教と音楽の結びつきは、仏教の発生地インドに始まる。声明が日本に伝えられたのは仏教儀式とともに飛鳥時代であると考えられている。平安時代に入ると、仏教的仮面舞踊である伎楽(ぎがく)が中心となっていく。かつては、六牙の白象に乗った普賢菩薩に奉納する伎楽が奏でられていたそうだ。
舞人(まいにん)一人が登場し、「陵王(りょうおう)」を舞う。「陵王」は管絃演奏の場合、「蘭陵王(らんりょうおう)」とも呼ばれる。伝説によると、北斉の蘭陵武王・高長恭(こうちょうきょう)が眉目秀麗の名将で、優しげな美貌を獰猛(どうもう)な仮面に隠して挑んだ戦いで見事大勝したため、兵士たちが喜んでその勇姿を歌に歌ったと言う。
舞人は舞台上を敏捷に動き回り、走舞(はしりまい)を披露した。朝日に照らされた柿色の袍(ほう)がまぶしいほど映え、金色の帯がきらきら輝く。
「雅楽」という言葉は、元々中国で使われていた言葉で、「昔の正しい音楽」などの意味を持っている。中国で雅楽とは、およそ南北朝時代に西域から流入した胡楽(こがく)や民間の俗楽に対する郊祀(こうし)(祭天)・宗廟(そうびょう)(祖先の祭り)の音楽の意味を示す。
日本で、雅楽が寺院において教習されるようになったのは、奈良時代半ばに東大寺で施入されて以後のことだと推察されている。
古代から絶えることなく伝えられてきた雅楽。今回のイベントでは、近代の芸術家の音楽を通して、武満徹作曲の「秋庭歌一具(しゅうていがいちぐ)」とNoismのコンテンポラリーダンスを結び合わせて、現代との繋がりを試みている。
Noismは演出振付家・舞踊家の金森穣が設立したダンスカンパニーで、りゅーとぴあ新潟市民芸術文化会館を拠点に活動する、日本初の公共劇場専属舞踊団。Noism0(ノイズムゼロ)は、そのプロフェッショナルカンパニー。
西洋発祥のクラシック・バレエの技法や身体文化と、東洋の身体文化を融合させたダンスパフォーマンスがNoismの特徴。抜群のボディーコントロールから生まれる動きは優雅でやわらかい。
雅楽を聴きながら、私は次のような印象を受けた。
西洋では、例えば、ミサで演奏される音楽は天にいる神と人間との距離を縮めるような役割を担う。西洋音楽は天井へ向かって高く上る。一方、雅楽は着物をまとった歩幅の狭い人に合わせるかのように水平に響き渡る。
Noismでも、西洋バレエの基本である垂直軸を意識して、身体を上へ、外へ開いていくのではなく、東洋的な水平軸を利用して、身体を横へ、下へ伸ばして、拮抗するスパイラルを生み出す。そのスパイラルの力によって張りのある姿勢を作り、身体の流れをコントロールした柔軟で優美な動きが生まれる。
「残影の庭 – Traces Garden」。
夜の帳が下りた秋の庭。宙に浮く蝋燭の炎が揺らめく。
仄暗い舞台は無数の灯篭に照らされているように見える。
天井からぶら下がった蝋燭が3メートルの高さに持ち上げられ、星々に転換したところで、ダンサー三人が登場。全身真っ黒だが、腕だけが裸で白い。その裸腕がスパイラルを強調する。鞨鼓、笙、篳篥、龍笛の作る「木霊」に合わせた雅やかな動きは幻想的で美しい。
突然、淡い赤に染められた薄い切地が天井から大きな落ち葉のように降りてきた。ゆったりと垂れた袖はまるで振袖だ。女性ダンサーがその衣に腕を通し、男性二人もそれぞれ青と茶色の袖の衣をまとって踊る。
舞台となった庭に誰かの影が映る。ダンサーたちはしばらく、その影を追いかける。影の主は姿を見せない。それは金森穣が思い描く「見えなくなってから浮かび上がる影」、つまり、残影のことだろう。
衣の袖をひらひらさせながら、丸い月影の周りで戯れるダンサーたち。月は異界へと続く井戸にも見える。古来より月光は人を魅了してきた。
天井から降ってくる落ち葉が庭に積もり、それを褥にして女性ダンサーが眠りにつく。まさに眠れる森の美女だ。
朝になると、存在感にあふれる枯れ木に一筋の陽光が差し、庭に新たな影が生まれる。「今私たちが目にしている全てのものは、過ぎ去りし時の残影なのだ」とは金森譲の言葉だ。
〜〜〜〜〜
寒風に揺れる紅白の紙四手(かみしで)。
天狗が大楠の影でこっそりと舞っている。
台から降りた狛犬が竹林の方へ走ってゆく。
笙の最後の長い響きが夜を呼び起こし、冬の星空が人間の営みを見守る。
筆を休ませた紫式部の耳に届く演奏の残響。
今日聴いた雅楽は雪の上に残った狛犬の足跡を追いかけるような演奏で、私の心を深く揺り動かした。
参考文献:
『雅楽のコスモロジー』山野真龍著/法蔵館
『雅楽を知る事典 』 遠藤徹著 /東京堂出版
(2021/2/15)
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チコーニャ・クリスチアン(Cristian Cicogna)
イタリア・ヴェネツィア生まれ。
1998年にヴェネツィア「カ・フォスカリ」大学東洋語学文学部日本語学・文学科を卒業。現代演劇をテーマに卒業論文「演出家鈴木忠志の活動および俳優育成メソッド」を執筆。卒業直後に来日。
日本語及び日本文学への興味は尽きることなく、上記「カ・フォスカリ」大学に修士論文「『幻の光』の翻訳を通して観る宮本輝像」を提出し、修士号を取得。
SCOT(SUZUKI COMPANY OF TOGA)の翻訳及び通訳、台本の翻訳に字幕作成・操作をしながら、現在、大阪大学などで非常勤講師としてイタリア語の会話クラスを担当している。
研究活動に関する業績
・“Il rito di Suzuki Tadashi(鈴木忠志の儀式)”、イタリアの演劇専門誌Sipario、ミラノ、2006年
・“From S Plateau”(演出家平田オリザの演劇について)、Sipario、ミラノ、2007年
・“Ishinha”(劇団維新派の活躍について)、 Sipario、ミラノ、2008年
・Bonaventura Ruperti, a cura di, Mutamenti dei linguaggi nella scena contemporanea in Giappone
・ボナヴェントゥーラ・ルペルティ監修『日本の現代演劇における表現の変化』(カ・フォスカリーナ出版、ヴェネツィア、2014年)において、第三章「鈴木忠志:身体の表現」、第八章「平田オリザの静かな演劇」を執筆。
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Gagaku – Orme sulla neve
2021/1/10 Rohm Theatre Kyoto Main Hall
Text by Cristian Cicogna
Concerto di musica Gagaku in occasione del 5° anniversario del Rohm Theatre Kyoto
Il Gagaku incontra la danza contemporanea
<Players>
Reigakusha
Otonowakai
Noism0 (Noism Company Niigata)
Jo Kanamori
Sawako Iseki
Yuki Yamada
Prima dell’alba, il richiamo di una civetta.
Come incollato a un cielo che a oriente ormai biancheggia, un torii rossastro sembra indicare l’accesso a un mondo incantato. Susini in fiore nel recinto del santuario shintō, spolverato di neve. Nel boschetto di bambù che lo circonda, immobile si staglia un cervo, il bianco respiro a risaltarne la vibrante staticità.
Tutto è avvolto in un silenzio quasi innaturale. L’aurora ricama di luce il profilo degli aceri, un mucchietto di neve cade senza rumore dal ramo di un vecchio ciliegio.
Cigolano le assi del corridoio che conduce al palco, con un sommesso strusciare di vesti i musicisti prendono il loro posto. Il silenzio si fa spasmodico.
La prima nota pizzicata del sō infrange la bolla di quiete, la natura poco a poco si risveglia.
Assistere a un concerto di musica gagaku regala l’impressione di fare un tuffo nel tempo e ritrovarsi immersi nelle atmosfere di corte dell’epoca Heian (794-1185) e più precisamente nel Genji monogatari (La storia di Genji), romanzo dell’XI secolo scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu.
E millenaria è pure la tradizione del gagaku che, come la maggior parte della cultura nipponica, deriva dalla Cina, con il filtro intermedio della penisola coreana.
Scriveva Proust in Alla ricerca del tempo perduto:
‘In Francia si ha il vizio di dare, a tutto ciò che è più o meno britannico, il nome che non ha in Inghilterra.’
Parafrasando questa brillante massima, si potrebbe dire che in Giappone, a tutto quello che è cinese, si è dato un nome (ma sarebbe più corretto dire una ‘lettura’ del carattere cinese) che in Cina non ha.
È il caso della parola gagaku, che in origine indicava una serie di danze sacre e canti in occasione di riti dedicati agli antenati. In Cina era ‘la giusta musica antica’, in contrapposizione alla musica ‘bassa’, popolare, introdotta nell’impero dai territori occidentali all’epoca delle dinastie del Nord e del Sud (V-VI sec. d.C.).
Nel primo brano eseguito dal gruppo Reigakusha, Kinka rinzetsu, al sō (arpa orizzontale) si aggiungono progressivamente il biwa (liuto a quattro corde) e i flauti hichiriki e ryūteki. La composizione, a tratti forse disarmonica all’orecchio occidentale, richiama, specie nei tamburi taiko, kakko e shōko, i suoni della natura: il sordo ticchettare di un becco su un tronco di bambù, l’allegro mormorio di un ruscello, il gocciare dell’acqua dalle foglie in un bosco dopo il temporale, il cupo rimbalzo di un’eco in una valle, il borbottìo lontano di un tuono.
A differenza della musica occidentale, tesa verso l’alto, a fare da tramite fra l’uomo e Dio, il gagaku si diffonde in senso orizzontale, a cerchi concentrici, come le piccole onde formatesi sulla superficie di un fossato ai lati di un castello, quando un airone si alza in volo con grazia. Una musica simile al frusciare di vesti sfarzose, creata apposta per adattarsi ai piccoli passi strusciati a cui costringe la stretta fasciatura dell’obi, la cintura del kimono.
Il successivo Atarashiki toshi (L’anno nuovo) è un canto saibara per augurare un sereno capodanno. Saibara sono racconti popolari regionali arrangiati in stile gagaku, dove hichiriki, ryūteki e shō (organo a bocca) accompagnano biwa e sō. Al canto si abbina un battito di mani strettamente ritmato, chiamato shakubyōshi.
Lo shō è forse lo strumento più peculiare tra quelli utilizzati nella musica gagaku. Costituito di 17 canne di bambù di varia lunghezza, per i giapponesi la sua forma richiama le ali ripiegate di una fenice. Riscaldato da un piccolo braciere ai piedi dell’esecutore, emette un suono, prodotto sia soffiando che inspirando, multiplo e prolungato, molto suggestivo.
Il canto shōmyō è la piena espressione del sincretismo, non solo religioso, di cui è intrisa la cultura giapponese e che rende di fatto l’arcipelago nipponico una scheggia di Occidente conficcata nella costola più estrema dell’Asia. Dal momento che lo shintoismo è legato a riti come battesimo e presentazione dei bambini al santuario, il buddismo a quelli funebri e che le spose ambiscono a uno sfarzoso abito bianco in una cappella in stile occidentale, un detto giapponese recita così: si nasce shintoisti, ci si sposa cristiani e si muore buddisti.
Shōmyō è praticamente la recita di sutra buddisti, pur essendo il gagaku, in quanto musica di corte, intimamente shintoista. Nel Fugensan un coro di sei voci maschili, in abiti che ricordano i monaci questuanti buddisti, intonano una cantilena, dal significato incomprensibile anche per gli stessi giapponesi, che, quasi provenisse dal mondo dei defunti, sembra sfruttare come cunicoli d’aria i prolungati echi dello shō.
L’intreccio fra musica e buddismo ha origine in India. Il canto shōmyō come rito buddista giunge in Giappone in epoca Asuka (550-710), per poi fiorire nel periodo Heian, nel quale la danza mascherata di impronta buddista prende il nome di gigaku. Nell’antichità veniva eseguita per onorare Samantabhadra, bodhisattva che attraversava le regioni su un elefante bianco dotato di sei zanne.
Ecco entrare a passi lenti, ma solenni, il danzatore che eseguirà Ryō’ō: i ricami dorati e lo sgargiante arancione del costume, gli occhi fiammeggianti della maschera ornata di lunghi baffi bianchi che ricordano quelli di un drago. Secondo la leggenda, Gao Changgong, principe di Lanling, famoso per la sua bellezza, nascose le sue fattezze poco minacciose sotto una maschera per affrontare una battaglia decisiva, poi vinta. I suoi soldati ne cantarono le gesta, in seguito codificate in questa danza (che prende il nome di Ranryō’ō se accompagnata da strumenti a fiato e a corde), ormai scomparsa in Cina, ma conservata nel gagaku.
Questo concerto, che vuole essere l’occasione per festeggiare il 5° anniversario del bellissimo Rohm Theatre Kyoto, rappresenta anche l’ardito tentativo di legare la tradizione millenaria del gagaku ai nostri giorni, alla contemporaneità.
A questo scopo sono stati scelti, come anello di contatto con il gruppo Reigakusha, un brano del compositore Tōru Takemitsu (1930-1996), intitolato Shūteiga ichigu, e la compagnia di danza contemporanea Noism.
Tōru Takemitsu è considerato uno dei maggiori autori contemporanei. Tra i suoi lavori spiccano le colonne sonore per i film Ran di Akira Kurosawa e Kuroi ame (Pioggia nera) di Shōhei Imamura.
Noism, fondata dal ballerino e coreografo Jo Kanamori, è l’unica compagnia di danza in Giappone ad avere un teatro stabile, il RYUTOPIA Niigata City Performing Arts Center, nella prefettura di Niigata, affacciata sul Mar del Giappone.
Il nome nasce dal concetto di no-ism, cioè dall’idea di non basarsi su uno specifico -ismo che ne appoggi o neghi un altro preesistente. Il metodo di training porta allo sviluppo di un controllo assoluto sui movimenti del corpo che sfruttano, a differenza dei canoni del balletto occidentale basati su un asse verticale, l’equilibrio dato dall’asse orizzontale, tipicamente asiatico. I corpi sprigionano un’energia che produce delle spirali che danno ai movimenti dei ballerini armonia e levità, senza togliere loro potenza espressiva.
Nasce così il balletto Zan’ei no niwa – Traces Garden.
Un giardino autunnale su cui è già scesa la notte.
Una ventina di candele ondeggiano sospese nel buio, richiamando le lanterne in pietra di un santuario. I musicisti, immobili ai loro posti.
Non appena le candele vengono issate sopra le loro teste, stavolta a rappresentare forse le stelle, entrano in scena i tre ballerini. Neri i costumi, nude solo le braccia a evidenziare le spirali e la grazia dei movimenti.
La musica crea un’atmosfera onirica, eppure carica di tensione. Kakko, shō, hichiriki e ryūteki danno voce alle quattro composizioni di Tōru Takemitsu intitolate Eco.
Scende dall’alto come un’enorme foglia d’acero un costume, una sottile casacca tinta di rosso che ricorda un furisode, il kimono formale dalle maniche larghe e lunghissime. I due ballerini aiutano la ballerina a infilarlo, tornando in seguito sul palco anche loro indossandone una versione blu e una marrone.
I tre rincorrono un’ombra apparsa nel giardino, che non è la loro. È quella che Kanamori definisce ‘la traccia che affiora dopo essere scomparsa’. Misteri orientali.
Chiara invece la luce della luna, che disegna un cerchio intorno a cui giocano come bambini i tre danzatori, e poi Sawako Iseki da sola. L’ancestrale fascino scaturito dalla luce lunare, per terra una botola rotonda che può condurre in mondi favolosi, o addirittura verso altre dimensioni.
Poi giunge la stanchezza, il sonno, forse la morte, e il suono lungo e penetrante dello shō ha un che di funebre nel giardino su cui piove una miriade di foglie rosse.
Si fa giorno. Battendo su un vecchio albero che si staglia nudo e solitario, la luce del sole rinato disegna nuove ombre nel giardino autunnale. Per Kanamori ‘tutte le cose che appaiono ora ai nostri occhi sono tracce del tempo ormai trascorso’.
Le svolazzanti vesti dei ballerini e le ultime, prolungate note dello shō mi riportano con la fantasia al santuario immaginato a inizio concerto.
Un vento gelido scuote il bianco candido degli shide, nastri ripiegati a zig-zag a forma di fulmine, tipici dei rituali shintō.
All’ombra di un maestoso canforo, cinto dello shimenawa, il cordone sacro che indica la presenza della divinità, un tengu (creatura fantastica tipica del folclore giapponese, solitamente rappresentato con una maschera rosso fuoco e il lunghissimo naso) balla scomposto, imitando goffamente le movenze del danzatore del Ryō’ō.
Immagino un komainu (cane-leone in pietra posto, sempre in coppia, a protezione dell’altare shintoista) animarsi all’improvviso, scendere dal piedistallo e incamminarsi veloce verso il boschetto di bambù.
Lievi orme sulla neve, mentre gli echi della musica gagaku risvegliano la notte, e il cielo stellato posa uno sguardo benevolo sulle fatiche degli uomini.
(2021/2/15)